Fermo immagine: riflessioni esistenziali all’opera

Come una foto d’artista: la realtà di chi scrive cristallizzata in una sua immagine.

Niente di più, niente di meno.

Non la realtà vera ma la sua immagine del vissuto, quello sì, veramente, proprio reale, proposto così, per ovvi motivi, solo online, in attesa di dircelo in presenza guardandoci negli occhi… altro che Zoom…

Questi sono i nostri redattori e le loro esistenze all’opera nel periodo del confinamento in casa.

1) Quando si esprimono i desideri all’inizio dell’anno sicuramente non ci si aspetta una situazione del genere: essere costretti a rinunciare a qualcosa per il bene nostro e altrui è sicuramente una sfida complicata ma è altrettanto certo quanto quest’ultima possa essere formativa. Tuttavia, sebbene questo non fosse tra i desideri di nessuno per il 2020, eccoci qua: a dover reagire positivamente, tutti insieme, a una sfida che ci è stata posta innanzi affinché superassimo i nostri limiti e uscissimo arricchiti da tutto quello che si è vissuto.

Arianna Basciu

2) Tante volte andare a scuola e vedere sempre quelle mura, troppo strette e così tristi metteva un po’ di malumore, ma solo quando ti privano della tua classe, dei tuoi orari, dei tuoi insegnanti, e della tua routine che te ne rendi conto. Ti rendi conto che stare a casa e vedere le persone attraverso uno schermo, senza poterle guardare negli occhi o avere un contatto fisico è una cosa orribile. Quando tutto tornerà alla normalità quella scuola e quelle mura non ti sembreranno poi così male, anzi. Il Pacinotti verrà visto in modo diverso. Saremo grati, consapevoli e più riconoscenti di ciò che abbiamo e soprattutto ci daremo un po’ più di abbracci, che prima ci sembravano così scontati.

Enrica Cossu

3) Davanti a un nemico che ha posto un limite invalicabile alla libertà che ha sempre caratterizzato le nostre vite di ragazzi, ci siamo sentiti smarriti, persi senza neanche muoverci. Ma è proprio quando ci fermiamo un momento che possiamo notare ciò che prima non avevamo valorizzato abbastanza: le emozioni e le esperienze che la scuola ci ha permesso di vivere, le amicizie che abbiamo avuto la possibilità di stringere. E forse una sveglia alle 7:00, un’interrogazione di matematica o un’aula al terzo piano non saranno più dei problemi così grandi da affrontare.

Francesca Costa

4) Nessuno si aspettava che, ad oggi, le nostre vite sarebbero state sconvolte in questo modo. La maggior parte dei nostri punti di riferimento, delle nostre abitudini, spariti. Senza possibilità di sapere quando tutto quello che avevamo potrà tornare, o se tornerà.

È stancante, cercare di ricostruire le nostre vite per adeguarle al perimetro della nostra casa, seguire regole più grandi di noi e vedere il mondo (sempre lo stesso) solo dalla nostra finestra. E poi ci sono i nostri visi cari, i nostri amici: se magari prima li si vedeva ogni giorno, adesso il massimo concesso è una misera videochiamata.

È stancante, una situazione surreale.

Ha preso tutti alla sprovvista.

Possiamo solo aspettare, nonché sperare. Sperare fino all’ultimo che i nostri sacrifici mostrino presto i loro risultati.

Dobbiamo essere forti e tirare avanti: è tutto ciò che possiamo fare, per noi e per gli altri.

Non stiamo soffrendo invano.

Clarissa D’Andrea

5) “Strani giorni, viviamo strani giorni” cantava Franco Battiato in una sua celebre canzone. Per quanto banale, ho difficoltà a trovare una definizione migliore per questo singolare anno scolastico che stiamo vivendo.

Come studenti, ognuno di noi sa bene quanto non sia facile abituarsi ad un cambio così radicale della routine; è bizzarro abituarsi alle inusuali lezioni online e, personalmente, trovo quasi doloroso dover rinunciare a tutto ciò che fa da contorno alle classiche lezioni e che mi fa amare la Scuola. Penso alle attività extrascolastiche che mi appassionano o, semplicemente, a tutti quei piccoli grandi momenti che ognuno di noi custodirà per sempre nel proprio cuore come lo sguardo complice con il proprio compagno di banco o un piacevole incontro in corridoio.

Come giovane non è assolutamente semplice rinunciare alla vitalità e, come cittadino, trovo ancora più difficile rinunciare alla libertà personale.

“Per fidarsi di quelli che studiano, bisogna studiare” diceva Cesare Pavese e, nel confuso periodo che viviamo, la mia sete di conoscenza, di Verità, mi porta a vivere questo tempo in maniera quasi tormentata e mi spinge quotidianamente ad informarmi e a riflettere su questi sconvolgenti e repentini cambiamenti di vita che ci sono stati imposti e a ragionare sul futuro.

Ma, per quanto il periodo sia confuso ed incerto, la parte più positiva di me pensa che questa possa essere vista come una grande occasione di crescita. Crescita personale perché, abbandonata la frenesia della vita ordinaria, abbiamo l’occasione di riflettere su noi stessi e su ciò che ci circonda. Crescita collettiva perché, in questo periodo di crisi e fragilità, sono emersi i grandi problemi del sistema politico ed economico nel quale abbiamo vissuto per decenni e mi auguro che questo porti a nuove discussioni su questi temi.

La parte invece più realista di me, è quella che non vede un presente e soprattutto un futuro roseo. Ormai è finito il tempo degli slogan dal balcone e bisogna constatare come si stia per avverare una grande crisi economica, probabilmente su scala mondiale. E in tutto ciò, nel presente, come molti, mi trovo disorientato. Disorientato dai molteplici dati, spesso contrastanti e poco veritieri che vengono forniti. Disorientato dalle stringenti misure preventive che vengono imposte senza che l’opinione pubblica, terrorizzata dai martellanti mass media, si ponga dei dubbi sul fatto che sia giusto procedere in questo modo.

Infine, cari lettori, un invito che mi sento di fare è quello di provare a non lasciarsi trasportare dalla corrente del terrore o, ancor peggio, dell’indifferenza, e provare a nuotare contro, più forte che si può, utilizzando una tra le più forti armi che possediamo: la ragione.

Michele Dessena

6) I giorni passano, ormai senza distinguersi gli uni dagli altri. Che sia lunedì o sabato non fa alcuna differenza, il giorno è diventato notte e viceversa. Ho perso i miei ritmi, fatico a tenere in piedi qualche routine che mi possa tenere legata alla mia vecchia realtà. Il famoso “andrà tutto bene” da coro è passato a sordina, ma è sempre lì. Mi mancano le piccole cose, come le lunghe passeggiate a piedi con la musica nelle cuffiette e i pensieri in testa, perdere tempo con gli amici anziché studiare, gli sguardi complici, i discorsi seri e quelli fatti con il sorriso, i baci e gli abbracci sentiti. La fine è come un miraggio, una corsa verso un traguardo che più ci avviciniamo più si allontana. Niente festa dei 100 giorni o viaggio di maturità, non mi ritroverò con i miei compagni il 18 giugno a temere la seconda prova o a sentire il cuore a mille nell’atrio di via Liguria prima di entrare nell’aula del colloquio; non ci saranno più i litigi in classe, le battute fuori luogo o il “prof posso uscire?” per scampare alle interrogazioni. Non mi lamento perché posso ritenermi anche fin troppo fortunata, ma quanto vorrei sentire di nuovo il sapore di quella spensierata libertà che tanto davo per scontata.

E mi chiedo spesso cosa avrei fatto se avessi saputo che quello sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola. È vivere nel passato questo? No, perché non ci sono ricordi che lo formino. Io che sono così attaccata a questi, mi sento in libera caduta senza un appiglio a cui aggrapparmi disperatamente. Io che senza la memoria non sono me, mi sento frammentata e incompleta. Volgo lo sguardo indietro e l’unica cosa che posso fare è cercare di riempire i vuoti con tanti se, nessuno reale, nessuno che mi soddisfi. Ma alla fine, quando i ricordi iniziano a rovinarsi e sfumare, si possono ancora definire reali? Cos’è il passato senza una memoria che ne tenga conto e gli renda conto? Siamo esseri continuamente plasmati dall’esperienza; in mancanza di questa diventiamo come l’acqua, senza forma. Ci serve vedere e sentire con il cuore e con i sensi. Ci serve il confronto con l’esterno per arrivare a quello interiore. Una vita senza il ricordo di essa può essere definita tale? Diciamo sempre che l’attimo del presente è quello più importante, ma esso non è altro che una tappa intermedia e immediatamente superata, dunque passata. Il presente è uno degli innumerevoli tasselli del puzzle della nostra vita, e acquista senso solo nell’ottica della più grande esistenza. Il presente è momento e memoria, senza memoria non v’è né passato né presente.

Leopardi diceva che l’atto di ricordare è sempre positivo, a prescindere dalla natura del ricordo. Ma senza questo, cosa rimane?

Ebbene, noi maturandi del 2020 non sapremo mai come sarebbero stati i nostri ultimi mesi se tutto fosse rimasto nella placida e forse monotona normalità di sempre. Tanti tasselli rimarranno “vuoti” , privati del loro contenuto. Troveremo nella memoria solo ipotesi su come sarebbe potuto esser stato, di fatto non troveremo nulla. O almeno così ci potrebbe sembrare. Perché sì, questo virus ci ha privati dell’esperienza, ma non ci impedisce di sostituire le tessere con altre, per cambiare così il quadro generale della nostra storia. Renderemo conto al passato nonostante esso non sia come vorremmo, ricorderemo la solitudine, la nostalgia per qualcosa di mai esistito, e proveremo un’emozione dolceamara. E quando la sentiremo, avremo capito che di fatto non ci manca neanche un tassello del puzzle, perché il ricordo di quest’esperienza si sarà sostituito ad altre, ma avremo comunque qualcosa da rievocare. E questo ci rende persone.

Andreea Doloc

7) Scommetto che tutti voi, almeno una volta nella vita, mentre eravate sommersi dalle pagine di quella materia che non proprio sopportate o alla quinta ora di lezione del giorno più pesante della settimana, abbiate desiderato un grande scossone o abbiate semplicemente chiesto a gran voce “quanto vorrei che non ci fosse scuola domani”.

Ecco, un nostro banalissimo mercoledì pomeriggio, è arrivata la notizia tanto sperata: ‘’ Da domani scuole chiuse in tutta Italia’’.

Quello che sembrava un virus poco più grave dell’influenza, a detta di molti in quel momento, ci aveva fatto guadagnare due settimane di vacanza.

Nessuno avrebbe immaginato di ritrovarsi per mesi rinchiusi agli arresti domiciliari, in compagnia di professori cyborg muniti di webcam e wifi, senza poter incrociare lo sguardo di nessuno dei tuoi amici o senza poter scroccare la merenda al compagno con il solito panino buono.

Dentro casa i giorni perdono il loro senso, i ritmi si vanno perdendo e il giorno e la notte quasi si confondono.

Purtroppo sappiamo che questo è nulla in confronto a chi non può lavorare, a chi ha un caro in una rsa (residenza sanitaria assistenziale), o in confronto a chi ha perso qualcuno e non l’ha nemmeno potuto salutare un’ultima volta.

Davanti a tutto questo l’#andràtuttobene è un po’ difficile a credersi ormai, però possiamo augurarci di crescere dopo tutto questo, di cominciare a non dar per scontato tutte le cose che abbiamo la Grazia di avere.

Perché ora, non ci sarebbe nulla di più importante che poter avere la libertà di stringere fra le braccia le persone che amiamo.

Francesco Ledda

8) Questo anno scolastico è stato indubbiamente un anno molto particolare per tutti noi, ci siamo visti catapultati in una realtà senza precedenti, ricca di ansie, preoccupazioni, paure e mancanze, ma anche di speranze, ricordi e riflessione. È stato indubbiamente difficile per tutti, studenti e insegnanti, ci siamo ritrovati a dover fare i conti con noi stessi e con la consapevolezza che, forse, sarebbe stato il caso di apprezzare maggiormente tutto ciò che la vita ci ha offerto e che consideravamo “dovuto”. Per quanto riguarda me e tutti i maturandi di quest’anno, il discorso si estende anche alla vita scolastica, che per noi purtroppo non tornerà più. Rimarrà per sempre un ricordo agrodolce, concluso in modo inusuale ma, per questo, forse molto più apprezzato.

Shirley Manca

9) Penso a voi, cari pacinottini del futuro, vi parla una ragazza direttamente dal passato, un passato quasi utopistico e che spero sia lontano dalla vostra realtà.

Quest’anno scolastico non è stato sicuramente semplice e normale ma bensì siamo passati dall’odiare quelle quattro mura e ritenere libertà la campana delle 11:10 a bramare quei banchi e sentirci liberi nel balcone di casa nostra. Le nostre priorità sembrano di colpo essersi ribaltate: avevamo paura di non partire in gita e ora tremiamo all’idea di uscire di casa.

A voi pacinottini del futuro non auguro niente di tutto ciò, ma anzi che portiate dentro di voi il ricordo del Pacinotti come la parte migliore della vostra vita e che possiate vivere al meglio l’esperienza da liceali.

Mi auguro di potervi vedere spaesati a settembre dell’anno prossimo, di parlare con la bidella prima di tornare in classe, di prendere il caffè alle macchinette e vedere tutti i ragazzi in cortile alla ricreazione.

Mi auguro e auguro a tutti di poter tornare alla normalità un giorno, spero molto presto.

Laura Muscas

10) Come mi sento ora?

Ho paura, credo che ce l’abbiamo tutti.

Il mondo ha iniziato a ripartire lentamente con la fase due e io sono terrorizzata di tornare alla situazione iniziale del virus.

Sogno un’estate spensierata (o quasi) e vorrei viverla pienamente, soprattutto dopo che ci sono stati negati i ricordi che avremmo potuto costruire negli ultimi mesi di liceo della nostra vita. Essere in quinta superiore, alla fine di un percorso, e vivere l’ultimo giorno di scuola senza neanche saperlo è triste. Stare chiusi da due mesi in casa senza poter vedere nessuno è triste. Accendere la TV e sentire più notizie cattive che buone è triste. Pensare a tutte le famiglie che si ritrovano senza lavoro o senza un loro caro è molto triste.

Mi mancano le persone che amo. A volte mi sento impotente, ma dentro di me so che non lo sono affatto, e nessuno di noi lo è. Abbiamo tanto potere nelle mani, possiamo affrontare e superare anche questa sfida, ma solo se restiamo uniti (da lontani) e compiamo dei sacrifici oggi per poterci riabbracciare il prima possibile.

Spero davvero che andrà tutto bene e che ne usciremo come persone diverse, cambiate, perché credo che un’esperienza del genere ti segni, in un modo o nell’altro. L’insegnamento più significativo che ho tratto fin’ora è sicuramente l’importanza di apprezzare ogni singola cosa. Per quanto banale possa sembrare, non lo è affatto. In questi mesi abbiamo capito quanto le piccole cose siano importanti: ridere con gli amici a scuola, uscire la sera, farsi un giro in centro. Tutte azioni che ora sono giustamente proibite e che ci mancano.

Eppure l’uomo ha la memoria corta, si dimentica tante cose che impara.

Riusciremo ad apprezzare davvero tutte le cose che ora tanto desideriamo, una volta che potremo averle sottomano di nuovo?

Valentina Pisu

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