Carissime e carissimi giovani,
“L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa. Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe comunque più nobile di ciò che l’uccide perché sa di morire e conosce il potere che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla.
Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero” (B. Pascal, Pensieri, 1669).
In questi giorni abbiamo visto con i nostri occhi e sofferto all’interno del nostro cuore per una condizione umana in cui una particella submicroscopica ha un potere di vita e di morte sull’uomo.
Riflettere sulla malattia e sulla vera forza dell’uomo, sul significato della vita e della morte, sull’impotenza che anche persone laureate, persino plurilaureate, hanno di fronte a certi eventi, a volte ordinari e a volte straordinari, non è un percorso didattico o una ostentazione di erudizione umana.
E’ soltanto una rinnovata presa di coscienza della nostra dimensione antropologica strutturale, così elevata eppure così fragile, che ci rimanda a quelle domande fondamentali che inseguono la persona umana fin dai tempi più remoti.
La morte soprattutto non lascia scampo all’interrogativo sul significato del vivere e sulla condizione umana che prova a valutare la possibilità di una vita che continui oltre, trasformata dopo la morte, in cui ciascuno non perde l’amore donato e ricevuto.
Tante volte nelle nostre lezioni ci siamo soffermati sul significato dei valori e sul modo di crescere secondo le scelte di ciascuno. Abbiamo fatto riferimento alle grandi domande, alla maturità individuale e sociale, alle nostre capacità affettive, al mistero del male e al condizionamento della società nei confronti della persona, alla forza e ai limiti della scienza e della cultura, a quel mistero che è la dimensione religiosa della persona.
Oggi state vivendo in qualche modo alcune delle difficoltà che i vostri nonni e bisnonni hanno vissuto a causa della guerra. Qui, almeno da noi, non è una guerra fatta con armi da fuoco ma è una guerra contro una malattia che mette in gioco altre realtà: la globalizzazione economica e culturale, la solitudine e le solitudini, l’egoismo degli Stati, la rigidità di schemi economici che sembrano dire che è l’uomo per le regole e non le regole per l’uomo.
Oggi parrebbe facile dire che al primo posto, per tutti, ci sia la salute.
Ma vi invito a non fermare a questo primo passo la vostra riflessione. Certamente la salute è un valore primario, ma naturalmente nessuno potrebbe dire che una persona malata vale meno di una persona sana, anzi è proprio alla persona malata che si dedica tempo, energia, ricerca e cure.
La riflessione dovrebbe portarci a cercare la Verità di ciò che si nasconde dentro di noi e fuori di noi, al di là del fatto di essere fisiologicamente sani o colpiti da una patologia.
In queste settimane, poi, siamo stati alle prese con una pratica valutazione di cosa significa rinunciare ad una parte della nostra libertà per il bene comune. Ma che la libertà non è assoluta e senza limiti lo abbiamo appreso con tante lezioni della nostra vita, fin da bambini.
Cercare la Verità significa allora sollevare lo sguardo al di là di ciò che percepiamo con i sensi. Vuol dire non accontentarsi. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, 1943).
Il nostro spazio interiore ha una vastità insondabile la cui verifica è appena provata dalla capacità affettiva che ci accompagna fin dalla nascita. Questo spazio è ben più esteso del nostro pianeta e perfino dell’Universo. Non è misurabile in laboratorio e anche in questi frangenti si alimenta di quelle emozioni e di quelle sorprese, positive e negative, che giungono da ciò che vediamo intorno a noi, anche proprio in questi giorni.
Sappiamo che conoscere un’opera letteraria o saper risolvere un’equazione, di fronte a questioni di vita o di morte, potrebbe non essere sufficiente né risolutivo. Eppure questo non è l’invito a lasciar perdere ciò che potrebbe apparire perfino accessorio dinanzi ad aspetti ben più fondamentali come la riflessione sull’esistenza e sul destino dopo la morte.
Iniziare o continuare un cammino verso la parte più intima di noi stessi, anche a causa di questo avvenimento così doloroso, significa far riemergere le domande più alte: sulla nostra esistenza, su quella degli altri, sulla natura dell’amore per noi stessi e per gli altri, sull’ipotesi di un Essere soprannaturale. Alcuni sono ostili al soprannaturale, altri dubbiosi, altri ancora indifferenti, alcuni lo hanno conosciuto.
Cercare risposte non vuol dire solo provare a trovarle nei libri o negli alti ragionamenti. Corrisponde piuttosto a cercarle nella nostra esperienza quotidiana: nei dolori che l’hanno accompagnata e nelle gioie che ci sono state donate. E’ in relazione soprattutto al rapporto con gli altri: le persone che ci stanno vicine ma anche quelle che scopriamo attraverso esperienze indirette di altri. Anche ogni loro respiro, sguardo, parola, gesto è fondamentale. Per questo, anche se non appare così essenziale, diventa formativo accogliere e fare spazio agli altri nel nostro cuore e nella nostra vita. Sono tempi di riscoperta di relazioni vere, di speranza che viene da dentro di noi.
Naturalmente la cultura, umanistica e scientifica, ha una parola da dire: ma è sempre terzultima. E’ quella che tanti cercano nei racconti, nei libri, nelle manifestazioni dell’arte e della creatività umana come la poesia, la letteratura, la musica, la pittura. Alcuni sono attratti dall’indefinitamente piccolo e altri dall’indefinitamente grande con la ricerca di una più attenta valutazione delle indagini scientifiche.
La penultima parola però è nostra: realizzare noi stessi o donare noi stessi?
Infine c’è la realtà, che con i fatti ci travolge, o ci prova, come in questi giorni.
Sarà questa l’ultima parola sulla nostra esistenza? “Quid est veritas”?
Ci sono case costruite sulla roccia e case costruite sulla sabbia.
Come stiamo costruendo la nostra vita e le nostre relazioni?
Buon colloquio con voi stessi.
di Massimo Pettinau
Marina Martes 22 Marzo 2020
Grazie Massimo, condivido tutto ciò che hai scritto. Penso che la realizzazione di noi stessi, la piena realizzazione, sia donare noi stessi. E questo è il momento di tirar fuori tutto il nostro coraggio e capire che lo possiamo fare.
Un abbraccio, Marina
Rosa Boaretto 5 Aprile 2020
Dopo aver letto le tue parole non con l’intelletto, ma con tutti i sensi aperti e disponibili… condivido totalmente ogni virgola, ogni respiro, ogni silenzio…
Il tuo invito fa bene all’anima e al cuore… é “allineato” in una verticalità Terra-Cielo nel Qui ed Ora.
Grazie Massimo
Laura Di Palma 17 Maggio 2020
Una lettura coinvolgente e interessante, che mai come in questo periodo, in cui ci troviamo a convivere con un nemico microscopico, eppure così nocivo e persistente, offre uno spunto per un profondo dialogo interiore.
Condivido pienamente tutto ciò che è stato detto: è in questi momenti che ci ritroviamo a constatare quanto sia fragile la vita umana e a custodire gelosamente la salute che molte volte diamo per scontato. Davanti a una situazione così tanto più grande di noi, l’istinto ci porta naturalmente a risollevare i dubbi e i pensieri sull’esistenza di un’entità sovrannaturale, un Qualcuno che, essendo al di sopra di tutto, è in grado di donarci luce e speranza in tutto questo buio. Lasciamo quindi che il nostro cuore si apra a questi pensieri, e cogliamo l’occasione anche per riflettere su noi stessi, sulle nostre esperienze e sulla nostra sensibilità.
Grazie mille per le bellissime parole e considerazioni, che sicuramente, come è stato per me, saranno un sincero e profondo spunto di riflessione per chiunque le leggerà.